Le derive del venetismo deteriore

Vivo in una città veneta. Insegno in un’università veneta (che grazie a Dio ha nel suo motto un riferimento al fatto che la libertà di Padova si rivolge a tutti: Universa universis patavina libertas). Il mio lavoro è cercare di formare degli studenti veneti (e altri: non ho mai chiesto ai miei studenti da dove venissero) allo scopo di costruirsi un futuro migliore. Sono impegnato con mia moglie, che non è veneta, nel lavoro sul territorio veneto: a livello parrocchiale, sociale, politico. Dedico molto del mio tempo alla formazione in ambienti associativi veneti, dove presto il mio tempo e le mie competenze, spesso a titolo gratuito, per dare una mano a costruirci tutti assieme un mondo (incluso un Veneto) più decente in cui vivere. Le persone con cui lavoro sono in buona parte venete, ma né io né loro ci siamo mai chiesti da dove venissimo: soltanto dove vogliamo andare, e cosa vogliamo fare, insieme. Infine, collaboro a un giornale veneto per aiutare a far circolare in Veneto idee possibilmente non solo venete (perché le idee non hanno patria) al fine di migliorare il Veneto che tutti abitiamo.
Ma sono foresto, vengo da una città lontanissima di una regione lontanissima che si chiama Milano, e sfortunatamente non vivo né lavoro continuativamente in Veneto da almeno quindici anni. E quindi, se finissi improvvisamente in miseria, per i buontemponi che hanno presentato in Regione Veneto i progetti di legge del pacchetto “Prima i veneti”, non avrei diritto ad alcun aiuto. Il paradosso è che se invece andassi a vivere a Parigi, Berlino, Londra, Madrid, Amsterdam, Bruxelles, ma anche in un qualunque paesino di queste notoriamente assai arretrate e poco civilizzate nazioni, e in generale in quella che chiamiamo Europa, che non è solo un luogo geografico ma un’idea del mondo e una proposta di civiltà, non subirei alcuna discriminazione di questo tipo. Curiosamente, non ne subirei nemmeno in altri continenti, inclusi molti paesi africani e asiatici con cui i buontemponi di cui sopra si schiferebbero di sentirsi comparare.
Si dirà che anche questo, come molte altre volte, è solo un blaterare per attirarsi il consenso di quelli a cui la precedenza sembra (e di primo acchito lo può anche sembrare) una proposta sensata. Ma poi non se ne farà nulla, perché l’importante è far parlare di sé, ergersi a paladini di una popolazione, e poi dare la colpa, se non si fa nulla, a Roma ladrona, alla Corte Costituzionale, a un’opposizione irresponsabile, e quant’altro: un giochino che è stato fatto spesso, in questi anni. Mi permetto due suggerimenti: per la Lega, e per i suoi irresponsabili compagni in questa deriva identitaria senza costrutto – i buontemponi appunto. Il primo è che si comincia a vedere che il re è nudo, che a tanto blaterare non corrisponde altrettanto fare (perché la legge non lo consente, ma anche perché la Lega stessa è migliore di certe cose che propone), e il dissenso che finalmente comincia a emergere al suo interno ne è una prova. Non si possono raccontare balle troppo spesso, troppo a lungo e a troppe persone: prima o poi qualcuno si accorge che, dietro tanto fumo, manca l’arrosto. Il secondo è che a lisciare sempre il pelo agli istinti peggiori degli individui, si finisce per produrre un elettorato, ma anche una rappresentanza politica, a immagine e somiglianza di quegli istinti. In democrazia, come giusto, i voti si contano, non si pesano: ma se si cerca il voto peggiore si finisce per scoprire che questo elegge i politici peggiori. La Lega, in particolare in Veneto, ha una storia culturale ricca, e la difesa dell’identità, della lingua, delle radici, si può fare in maniera intelligente anziché in maniera becera. Con queste derive la Lega rischia di tradire proprio la sua storia migliore. Che è anche la storia, la testimonianza e la vita dei tantissimi veneti da cui ho imparato le virtù migliori del darsi e dell’aprirsi agli altri senza confini: quelli che incontro tutti i giorni.
Stefano Allievi
16 settembre 2011
Allievi S. (2011), Le derive del venetismo deteriore