La sfida del sindaco di Firenze

Con la sfida di Matteo Renzi la questione delle primarie, da discussione astratta e un po’ asettica, diventa una partita concreta e reale: un duello, con quell’elemento di passione e di gusto per la partecipazione che la politica può dare.
Certo, è una partita problematica, e per certi aspetti surreale: non se ne conoscono ancora le regole e, date le incertezze sul prossimo sistema elettorale, nemmeno la coalizione di riferimento. C’è quindi un elemento di coraggio un po’ guascone nel decidere di rompere gli indugi e scendere in campo, con il rischio che chi deciderà le regole lo faccia a uso e consumo del proprio candidato di riferimento. Ma la partita è decisiva, anche per il futuro dello schieramento riformatore.

Renzi parte svantaggiato, come ovvio: il Partito Democratico – che le primarie le ha introdotte per volontà di vertice e con il consenso entusiasta dell’elettorato, ma subìte in parte dell’apparato – non ha ancora interiorizzato che esse servono per scegliere il leader, e quindi non ci dovrebbe essere, di default, un candidato di partito, per il semplice motivo che anche lo sfidante appartiene allo stesso partito. Ma tant’è, le inerzie dominano, e per i più il candidato di partito sarà Bersani. Ma, tra tanti altri oppositori del segretario, Renzi ha avuto il merito di decidersi e di autocandidarsi al rinnovamento della leadership: in maniera esplicita, e dall’interno del PD, anche se ci saranno candidature esterne come quelle di Vendola, di Tabacci, e forse di altri. In questo ruolo può intercettare molti malumori. Bersani, come segretario, e per la competenza dimostrata da ministro, piace a molti: il consenso ricevuto alle primarie lo dimostra. Ma Bersani non rappresenta solo se stesso: rappresenta un modello di partito e di politica avversata da molti che pure hanno stima personale nei suoi confronti. Di fatto, rappresenta la continuità con il modello PCI-PDS-DS alleato alla tradizione DC-Popolari-Magherita, mentre molti che hanno sostenuto il PD avrebbero voluto un’altra cosa, un progetto diverso, davvero innovativo rispetto agli schemi della prima e della seconda repubblica, fatto di metodi e di volti nuovi, che non rappresentassero l’establishment del passato. Renzi vuole coalizzare questo dissenso per trasformarlo in proposta politica, in questo andando al di là delle tradizionali etichette destra-sinistra: tra i suoi sostenitori si trovano economisti liberal e promotori di un nuovo modello di sviluppo legato alla green economy e alla rete, cattolici e laici (e cattolici laici, che non accettano più questa dicotomia anch’essa del passato), persone che guardano al centro e altre che guardano con simpatia a Vendola e alle istanze dell’elettorato grillino, con la capacità di aperture più significative di quelle consentite dalle mediazioni di partito nel campo dei diritti civili, e altro ancora. Soprattutto persone diverse, più giovani della media, che in questi anni non hanno avuto la possibilità di far sentire la propria voce all’interno del PD: che per questa ragione in parte ha perso, per proprie responsabilità, il capitale sociale di partito nuovo, alternativo agli schemi del passato, che aveva all’inizio.
E’ significativo che per lanciare la sua sfida Renzi abbia scelto il Veneto: che non è la sua terra, e nemmeno un luogo dove il PD e il centrosinistra sono forti. Al contrario, una regione dove governa il centrodestra, se non in poche città, in cui il centrosinistra gode di un consenso inferiore alla media nazionale, e non ha mai dato grandi prove elettorali, e quindi tanto più bisognoso di rinnovamento radicale e di riscatto. Sarà dunque interessante vedere come si evolverà la sfida interna proprio in questa che, dopo tutto, per il PD e il centrosinistra è terra di conquista, in cui giocare all’attacco, e non in difesa, se vuole sperare di contare più di quanto non abbia contato in passato.
Allievi S. (2012),
La sfida del sindaco di Firenze
, editoriale “Mattino di Padova”, “Tribuna di Treviso”, “Nuova Venezia” e “Corriere delle Alpi”, 31 agosto 2012, p.1.