Recensione a "Il giorno dopo" e "Pubblico e privato"

Cos’è successo quella notte? La notte prima de “Il giorno dopo”? Che è una raccolta di poesie di Stefano Allievi, sociologo all’Università di Padova, qui spogliato di cattedra e studenti, verrebbe da dire spogliato di allievi.  Perché in quella notte quest’uomo è tornato nudo, come si nasce. Lui è tornato nudo perché è rinato. Non sappiamo come, e più profondamente non sappiamo perché. Ma è successo e quello che quest’uomo nuovo comunica  con apparente tranquillità ma in realtà con una foga carsica è uno smisurato entusiasmo. L’entusiasmo di chi ha visto molto, ma oggi, il giorno dopo, ha occhi nuovi. Non può dimenticare il passato, ma il presente non può più essere ripetizione del passato. Che notte, quella notte.
La nostra curiosità non deve indirizzarsi sulla causa della resurrezione (ma era proprio morto, prima?), comunque della renovatio: ma sui suoi effetti. E per un motivo semplice, che potrebbe capitare anche a noi.  Allora sarebbe gioia, come quella che con equilibrio e insieme travaglio, sboccia da questi versi, anche quando sono dolenti, riflessivi. Ma percorsi da un’energia vitale, fosse anche un’indignata stanchezza, che è magma vivo, accavallarsi di pulsioni. Tutto si agita, si intride senza arrivare a confondersi in questo magma dove di nuovo ribolle vita con tutti i suoi sentimenti: l’amore e la delusione, la rabbia e il distacco, la serenità ritrovata e l’impulso all’impegno. Niente è fermo, in quest’uomo nuovo.
Così leggiamo poesia civile, che vuol dire denuncia dello scandalo, dei riti vuoti della politica, disamina diretta e senza astruserie delle falsità e dei fallimenti: è consapevolezza, non rivoluzione. Una consapevolezza che, prima del giorno dopo, forse era meno chiara, meno certa. Ma adesso quest’uomo ride di una contentezza interiore che gli fa affrontare tutto: soprattutto le cose che non vanno, quelle che sfuggono ad una logica che dovrebbe essere. “E’ misura, la legge delle cose”. Dentro a questa misura c’è la ragione, e c’è anche Dio, che per Allievi non è contraddizione, e si intuisce necessario come la ragione, problematico come la stessa ragione è capace di essere. La consapevolezza percorsa da un entusiasmo positivo non risolve tutto, pone altre domande, ma ora si ha la forza di prendere posizione, di non essere particella amorfa, insulsa, magari programmata. Toh, rispunta l’io: che c’era, ma si è dato una rilucidata, e torna capace di proprie idee, e le dice a voce alta, senza gridare, ma nemmeno senza soffocarle o sussurrarle. “E’ tornata la vita. Se era scappata, chi non l’ha inseguita?”. La vita torna, che vuol dire coscienza e voglia. E la voce adesso è la poesia, che è musica in casa, silenzio nella festa di parole sul Moleskine, interiorità che esce, e passione, gusto, amore, termini velati di nebbia nella vita precedente. Un entusiasmo dagli effetti inaspettati: “La poesia è erotica, si sente nei calzoni”, e per fortuna che li portano anche moltissime donne, sennò non vale. Ma insomma è un canto: “splendi, atmosfera”.
Ma Stefano Allievi, anche se un po’ vorrebbe, non è san Francesco: il suo canto non diventa cantico, affronta le ombre del nostro mondo, interroga le ombre della divinità. E’ costante il bisogno di Dio, un dio proprio, mal interpretato dalla Chiesa, non in concorrenza con la ragione: “Fede vuole ragioni, ragione spesso crede”. Ma anche “Fede, opere: non c’è contraddizione. Opera, fede, il resto è divisione”. E’ un credente che scrive, che tenta di conciliare, e non vorremmo mai che qualche solerte interprete ciellino sventolasse questi versi come una bandiera, non si sa mai. Le idee, le domande su Dio sono di una sofferta sincerità: “Dio dei conflitti dimettiti, spogliati, nasconditi”. Sono due righe del secondo libro di poesie che Stefano Allievi pubblica insieme al primo. Questa volta il titolo è “Pubblico e privato” e come si intuisce la voglia di dire investe in egual misura le due sfere. “Pubblico e privato” è la stessa vita riscoperta, ma l’urgenza della nuova nascita lascia posto all’analisi e alla riflessione. Qui, più poesia in senso tradizionale, con i temi del sentire, degli affetti, ma anche del mondo circostante declinati cercando una sorta di saggezza. C’è la costante spinta a snidare falsità, a togliere le incrostazioni del superfluo (le cento riunioni in cui non si riesce più ad ascoltare, ma che servono a percepire l’inconsistenza dei personaggi), a cercare una sostanza che, ovunque ti giri, sembra sepolta, inarrivabile. Peggio, inesistente. La persona sembra sparire: esistono simili, consorterie, ordini. I politici, i preti, i professori: accomunati dagli interessi, dai riti dovuti, dalle cose di sempre e non da un pensiero individuale. Solo l’amore fa tornare in primo piano la persona: ecco la compagna di vita, moglie moglie perché sposata due volte, centro di riferimento e in fondo motore di molti di questi versi. La passione amorosa vive di profondità evidenti ma altrettanto forte è la passione civile. Se nel primo volumetto l’invettiva finale (la serie infinita di “basta”) è un concentrato di sopportazione giunta al limite, in “Pubblico e privato” la disillusione per come va il mondo, per com’è la gente che lo fa andare così sono concetti sparsi tra le pagine, e comunque discorso ininterrotto. Con spritz di quasi umorismo: “i partiti: più cacciati che partiti”. “Impreciso, incondiviso il fine ultimo. Il penultimo idem”.
Insomma, Stefano Allievi è un poeta-cittadino. Abiura l’enfasi, scrive all’indicativo concetti poco interpretabili perché subito comprensibili, diretti: perché se la parola può diventar regina, l’idea è comunque imperatrice, come la poesia, cioè il concetto di poesia. L’ultimo esempio: “Si è soli anche là fuori / nella gabbia comune / quando non sappiamo come uscirne / e solo aspettiamo il custode / all’ora giusta, con quel poco di cibo”. Con quel poco di cibo. Allora, non è mai finita.
Paolo Coltro, I versi di sdegno civile del cittadino Allievi. Il sociologo pubblica due volumetti in contemporanea, in “Il Mattino di Padova”, “La Tribuna di Treviso”, “La Nuova Venezia”, “Il corriere delle Alpi”, 10 novembre 2012, p. 50