Il narcisismo, psicopatologia della politica

La politica italiana ha fatto della contemplazione della propria immagine una religione, e del narcisismo una mistica. L’ossessione di se stessa è precisamente quello che le impedisce di guardare agli altri, al paese: e che ne fa un dato patologico, una malattia della psiche in senso proprio, per molti aspetti una devianza.

Guardarsi l’ombelico non vuol dire riflettere. Non c’è niente, nella qualità della vita politica italiana, delle virtù dell’introspezione, che presuppone una capacità di approfondimento dei problemi. Si naviga sulla superficie, guardandosi allo specchio: narcisisticamente, appunto. Ecco perché il centro della sua attenzione è se stessa. Ecco perché passa il tempo a parlare di sé, dei propri problemi personali, delle proprie ritualità, dei propri modesti rappresentanti, commentandone il minimo gesto, per quanto inutile, o il minimo sospiro, benché irrilevante. Ecco perché si parla di leader – veri, presunti o aspiranti tali – di correnti, di clan: e non di problemi, della società che i rappresentanti dovrebbero per l’appunto rappresentare, e che è la giustificazione stessa della politica, che dovrebbe farsene carico.

La politica si presenta come un’abnorme famiglia patologica. Uomini e donne vuoti e labili: che sanno posizionarsi solo rispetto alle persone – alla persona del leader da cui dipendono, del padre padrino politico – e non ai problemi che devono affrontare, incapaci di autonomia. Un vizio a sua volta coltivato da padri padroni immaturi, che temono anziché auspicare l’autonomia dei propri figli. Il Bossi che decideva per tutti (e tutti che rispondevano, alle domande sul che fare, “deciderà Bossi”, nella più infantile mancanza di assunzione di responsabilità); il Berlusconi che, patologicamente, non prende nemmeno in considerazione l’idea di lasciare il timone ai suoi figli politici, che lui ha creato (semmai, come Crono, li divora); i notabili del PD che restano saldi nell’occupazione delle loro posizioni e nella loro volontà di gestire anche il futuro politico dei loro eredi, continuando a intralciare qualsiasi cambiamento e a orientare il dibattito intorno alle loro figure; il Grillo che tutto decide senza consultare nessuno e in maniera incoerente, come un bimbo capriccioso, ma vuole che la minima presa di posizione delle sue creature politiche sia vagliata da un’imperscrutabile rete che lui stesso controlla, rivendicando un diritto assoluto di proprietà sul movimento che ha creato: e come un adolescente ribelle si sottrae alle responsabilità della politica, ma vuole fare assumere ai suoi figli politici il peso delle sue conseguenze. Entrambi infine, padri e figli, affetti da una bulimia grave da occupazione delle istituzioni e devastazione delle risorse, alla ricerca della propria gratificazione personale, della soddisfazione dei propri desideri, ignari dell’orizzonte collettivo, della responsabilità comune, del bene pubblico. In un circolo vizioso che ci riporta all’inizio, all’autismo cieco e senza prospettiva di una politica immatura, che vive in un eterno presente: il proprio, quello del proprio godimento immediato. E in questa psicopatologia della vita politica, è al paese che viene tolto il presente, ed è ai figli, alle nuove generazioni, che viene impedito di affacciarsi sul futuro.

E’ come se il paese fosse in mano a degli psicotici: il cui delirio di onnipotenza è inversamente proporzionale all’impotenza sostanziale che li distingue. Per liberarlo, per liberarci – mettendo finalmente la vita reale, e non i politici, al centro della politica – occorre liberarcene. Uccidendo simbolicamente il padre, come insegna la psicoanalisi. Uscendo dalla riproduzione dei medesimi meccanismi. Riformando radicalmente le istituzioni. Altrimenti chi ci entra diventa come chi c’è già. L’abbiamo visto con l’ampio ricambio di persone – all’interno tuttavia dello stesso meccanismo di cooptazione senza merito, che produce dei figli identici ai padri – emerso con le ultime elezioni: presi in un meccanismo malato, si sono ammalati tutti della stessa malattia.

Quando una psicosi è conclamata, occorre una presa in carico e una terapia. Ed è precisamente ciò che il sistema non è in grado di darsi da solo. Da qui la virtù necessaria di un ricambio radicale: non solo di persone, ma di metodo. L’unica cura possibile, quando il malato non intende curarsi.

La politica narcisistica che non guarda il paese, in “Piccolo” Trieste, 3 novembre 2013, p. 1

La terapia per la psicosi della politica, in “Mattino” Padova, “Nuova” Venezia, “Tribuna” Treviso, “Corriere delle Alpi”, 3 novembre 2013, p. 1, e “Gazzetta di Reggio”, 4 novembre 2013, p. 1