Bitonci, il crocefisso, l'islam

L’annuncio del sindaco Bitonci di cancellare per il futuro – e di sospendere, se appena se ne presenterà l’occasione, per il presente – l’utilizzo di palestre per la preghiera del Ramadan è il segnale di un ritorno a una battaglia identitaria che la Lega stessa aveva ultimamente abbandonato, dopo avere per anni sollevato conflitti intorno alle moschee: non per risolverli, ma al contrario per lucrarne un consenso simbolico ed elettorale. A Padova era dai tempi della passeggiata con maialino della consigliera Mazzetto, e del minacciato referendum contro la moschea, che non se ne parlava. Ma a Cittadella, dove oggi è sindaco l’ex-vice di Bitonci, Pan, l’argomento è ancora di stretta attualità, con la chiusura a freddo di una moschea avvenuta proprio nei giorni scorsi, per la quale sarà sollevato ricorso al Tar.
Bitonci non è nuovo a questo tipo di battaglie simboliche. Anche in passato, interpretando in maniera assai estensiva il suo ruolo di sindaco, si era schierato contro i simboli dell’islam, ma anche solo di ciò che è straniero, foresto, estraneo: si pensi alla battaglia ‘culturale’ contro i kebab, che di islamico non hanno nulla, e sono diventati popolari negli ultimi decenni, in tutta Europa, come street food autoctono, alla stessa stregua degli hamburger e degli involtini primavera, o magari della pizza, che secondo alcuni avrebbe anch’essa lontane origini arabe. Allo stesso tempo, si era segnalato tra i sindaci e successivamente tra i parlamentari più attivi nel distribuire crocefissi perfino per strada, ai tempi della sentenza della Corte di Strasburgo, peraltro originata dalla denuncia di una famiglia atea, e annullata dopo un ricorso del governo italiano, che considerava la loro presenza nelle scuole come discriminatoria. In questo modo si è creato il ruolo di paladino della croce come simbolo di identità civile – non religiosa, si badi bene – senza in nulla interpretarne i contenuti e il messaggio: al punto che la croce stessa, da simbolo religioso atto a ispirare sentimenti di pietà e condivisione, si trasforma in un’arma contundente con cui colpire il nemico islamico.
La questione della palestra Giotto utilizzata dai fedeli musulmani di un’associazione marocchina per pregare durante il mese di Ramadan, ha una valenza simbolica inferiore, ma è per questo ancora più indicativa della battaglia politica e culturale che Bitonci ha voluto aprire fin dall’inizio del suo mandato, e che avrà come unico esito l’aumento del conflitto sociale e dell’astio tra comunità, senza alcuna utilità per la città. La questione non esiste nel merito, trattandosi di una palestra già usata in passato per scopi analoghi e peraltro chiusa nel periodo estivo: esempi simili, di locali comunali affittati o ceduti per il periodo di Ramadan, se ne trovano del resto a centinaia in tutta Europa, essendo questo un periodo di maggiore afflusso nei luoghi di culto, spesso troppo piccoli e quindi insufficienti per accoglierlo. Ed è risibile nella scusa utilizzata, dato che tutte le palestre sono usate anche per altri scopi: politici (incluso la riunione del primo consiglio comunale in una di esse, voluta proprio da Bitonci), associativi e pure religiosi.
L’obiettivo è quindi un altro: mandare un segnale forte che queste battaglie, nonostante in quest’ultimo periodo la Lega le avesse sostanzialmente abbandonate, spostando la propria attenzione su altri capri espiatori più significativi in periodo di crisi economica (l’Euro, la Merkel, la Germania…), per Bitonci sono un obiettivo identitario primario e rivendicato come tale. Di nessuna utilità sostanziale, dato che rischia di creare assai più problemi di quelli che pretende di risolvere. Ma il cui scopo è simbolico, e il cui solo effetto sarà di rafforzare il militantismo oltranzista, esclusivista ed escludente, dei pasdaran dell’identità. Un modo di pensare i rapporti tra diversi, incluso tra comunità religiose, che non è prevalente in città, e respinto anche dalla Curia: già ai tempi del conflitto sulla moschea di via Longhin, che poi non si fece, i sondaggi davano la città maggioritariamente incline all’accettazione e alla costruzione di rapporti di buon vicinato. E un segnale di cui la città, che ha ben altri problemi da risolvere, probabilmente non sentiva alcun urgente bisogno.
Le inutili battaglie identitarie, in “Mattino” di Padova, 26 giungo 2014, p.1