Un atto di pedofilia, un prete suicida: e tante domande senza risposta
Il suicidio in canonica del sacerdote Maks Suard ci racconta di una storia terribile, dai risvolti oscuri, eppure in un certo senso esemplare. Oggi, potremmo dire, quasi corrispondente a un canone letterario: solo che è vita, vita vera, vita reale.
Un sacerdote di 48 anni che una volta, forse una sola volta, nella sua vita, aveva ceduto, 17 anni prima, a un impulso incontrollato, che aveva coinvolto, e turbato, e danneggiato, una ragazzina di 13 anni: e da allora era vissuto con un segreto inconfessabile, che forse può spiegarne il carattere disponibile ma chiuso. Una giovane ragazza, oggi trentenne, che ha chiesto più volte, giustamente e inutilmente, per molto tempo, quanto meno un segnale: non un risarcimento, nemmeno morale, impossibile da ottenere, ma almeno un’idea di verità e di giustizia. In mezzo un’istituzione, la chiesa: che di fronte a questi fatti, come atteggiamento, come cultura, e come prassi, è profondamente cambiata. Che prima sedava e nascondeva, e che oggi in prima persona denuncia, in collaborazione con le autorità e la giustizia civile, che affronta – con la durezza e il coraggio necessari, e la consapevolezza degli effetti negativi che ne possono derivare – ciò che in passato avvolgeva nel silenzio, nei trasferimenti discreti, nell’occultamento ipocrita. Oggi questo peccato di alcuni esponenti della chiesa è troppo evidente, troppo pubblico, perché si possa ancora evitare di parlarne. Papa Benedetto XVI prima, con le sue indicazioni e linee guida, e Papa Francesco poi, con gli atti esemplari (che sono arrivati al clamoroso arresto in Vaticano, poche settimane fa, con un atto senza precedenti, di un arcivescovo non ancora condannato dalla giustizia civile, e alla sua detenzione; e alla rimozione di vescovi che hanno coperto, peccando di omissione e di mancata vigilanza, o forse peggio, le malefatte altrui), hanno testimoniato questa svolta: basta silenzi, basta ipocrisie; e al contrario pubblicità, trasparenza, esemplarità degli atti e delle decisioni. Perché il vangelo è chiaro: “Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da un asino, e fosse gettato negli abissi del mare”. E lo scandalo maggiore è nascondere lo scandalo, fare finta che nulla sia successo.
Non possiamo e non vogliamo giudicare. A quello ci pensa Dio, la vita, la morte (in questo caso incombente), e la storia: la piccola storia in cui i nostri destini si incrociano con quelli degli altri. E, spesso, non sono capaci di spiegarsi alcunché.
Possiamo però, tutti, imparare delle lezioni. O almeno provarci. Provare a capire che c’è la legge, e poi c’è la misericordia (miseri cordis: la pietà del cuore). La prima è fredda, la seconda è calda. La prima è, deve essere, cieca rispetto ai sentimenti e alle relazioni. La seconda ha il compito di tenerne conto, di farli incontrare. Come, per fare un esempio, nella commissione per la riconciliazione inventata dal vescovo e premio Nobel per la pace Desmond Tutu per risolvere gli annosi problemi, che erano in primo luogo relazionali, ed erano atroci, colmi di profonde e inaccettabili ingiustizie, del Sudafrica: far incontrare carnefici e vittime, colpevoli e innocenti. Farli guardare reciprocamente negli occhi. Farli parlare. Forse non è stato risolutivo sempre. Ma è stato un tentativo onorevole, e saggio. Ecco: questo forse ci dice che bisogna – è doveroso – percorrere le vie della giustizia civile e della disciplina ecclesiale. Ma che fatti di questo genere non sono solo questione di diritto civile, o di diritto canonico. Sono storie di vita. Sono fatti umani, profondamente umani, troppo umani, che vanno affrontati anche come tali, e quindi anche in altre sedi, con altre modalità, e per scopi diversi da quelli della legge civile.
Oggi, così come è andata, siamo a contemplare le macerie: una vita finita, quella del colpevole di allora; una interrotta e sofferente, quella di chi pretendeva, correttamente, giustizia; una comunità sbigottita, rimasta con più domande che risposte. Dio ha le sue risposte. La storia anche. Noi possiamo almeno farci delle domande che possano essere utili in un’altra occasione, per un’altra, futura risposta. E per il resto, pace alle anime in pena: quella di chi si è tolto la vita, e quella di chi l’affronta ancora, giorno per giorno, nel dolore. Pace e rispetto.
Storie di vita, tra legge e misericordia, in “Piccolo” Trieste, 30 ottobre 2014, p.1