La politica di oggi e i simboli nazifascisti di ieri. L'insostenibile leggerezza di Giorgetti (e Zaia)

Detesto la retorica dell’antifascismo: pur ritrovandomi – per storia familiare – dalla parte dei vincitori di oggi e non di quelli di ieri. Merito di una madre finita nelle galere nazifasciste fino alla Liberazione e di uno zio aviatore e eroe di guerra, dopo l’8 settembre diventato comandante di un proprio gruppo partigiano, e infine capo di stato maggiore delle Brigate Garibaldi (per poi finire ucciso il 26 aprile del ’45: per la storiografia ufficiale, da una banda di fuggiaschi tedeschi; e per quella non ufficiale da un gruppo di partigiani comunisti – tanto per non farci mancare nulla, come contraddizioni politiche e storiografiche).
Detesto anche – in splendida minoranza – la retorica delle leggi ‘contro’: non credo né nei reati di vilipendio né in quelli di apologia né in quelli di opinione (di cui pure, nella mia vita professionale, mi è capitato di essere vittima), e sono contro le verità di stato, di tutti i tipi – che si tratti della Shoah o del genocidio degli armeni, del razzismo o dell’islamofobia (e quindi sono contro le leggi che condannano il negazionismo, insieme ai migliori storici e studiosi ebrei peraltro, ed ero contro i processi alla Fallaci, per dire).
Questo, per far capire cosa penso, e perché a rigore non avrei motivo di preoccuparmi di una stupida torta di compleanno con simboli fascisti e nazisti regalata a un politico veneto che ne ha fatto un uso superficiale.
Ma quello che considero sacrosanto per le opinioni (e, naturalmente, non per le azioni che ne possono seguire), ha un significato e un rilievo tutto diverso nello spazio pubblico, da parte di persone che rappresentano le istituzioni, e da queste stipendiate. Tanto è vero che lo stesso politico in questione, Massimo Giorgetti, ha pensato bene di ripulire il suo profilo facebook non solo dalle immagini della torta, decorata di fascio e di simbolo delle SS, ma dai commenti irridenti che le accompagnavano. Se infatti la retorica dell’antifascismo non si può più sentire, la sua irrisione è ancora peggio, perché l’antifascismo e la scelta repubblicana sono invece una cosa serissima, all’origine della nostra libertà e democrazia, di cui Giorgetti ha ampiamente beneficiato.
Dispiace quindi sentire ancora l’insipienza di affermazioni sul Duce del tipo: “a parte le leggi razziali e l’alleanza con Hitler”, per il resto “ha modernizzato l’Italia”. Anche Kim Jong-un, attuale dittatore della Corea, ha certamente fatto cose positive per modernizzare il paese (come può spiegargli l’onorevole Razzi o Matteo Salvini che l’ha accompagnato in missione); come Stalin (e prima, Lenin: i soviet più l’elettrificazione) o Mussolini, appunto. Solo che il prezzo pagato per far arrivare i treni in orario oggi non lo pagheremmo più: tra questi, il controllo di polizia e la censura, l’intolleranza per il dissenso, una guerra e una guerra civile. Quel “a parte le leggi razziali” – oltre a essere uno schiaffo ai molti che le hanno subite, finendo nelle camere a gas di Auschwitz o d’altrove – è quindi qualcosa di indicibile da parte di chi siede nelle istituzioni; qualcosa che in Germania porterebbe alla fine di una carriera politica e alla stigmatizzazione dei colleghi della propria parte politica, non degli altri.
Da noi no, invece. I colleghi parlano di “goliardate” (non la prima, peraltro, visto che Giorgetti ha salutato il governatore Zaia con il saluto romano – accompagnato da un sonoro “A noi!” – in compagnia dei colleghi Coppola e Donazzan, nelle aule dell’istituzione che rappresenta, e in cui lì rappresenta me e noi tutti). E il presidente Zaia preferisce un pilatesco silenzio (anche questo intollerabile altrove): tanto – ha ragione, e lo sa – tutto verrà presto dimenticato. E poi Giorgetti è politico di lungo corso – uno di quelli che ha fatto della politica un mestiere – e alla sua quinta legislatura non ha certo intenzione di abbandonare una vantaggiosa carriera che l’ha portato ad essere assessore e poi vicepresidente del consiglio regionale. Solo, gli ricordiamo volentieri, quella carriera, legittima, è pagata con i soldi di questa repubblica, nata per reazione e dalle ceneri del fascismo e del nazismo. E’ questione di buon gusto e di buona educazione istituzionale: estetica prima che politica. Ma lo si può capire solo se il senso della decenza estetica lo si possiede. E non è palesemente questo il caso.
Il caso Giorgetti. Torta fascista, la colpa e i silenzi, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 4 novembre 2015, editoriale, p.1