Caro PD, ti scrivo. Sulle elezioni a Padova.

Ho seguito con attenzione le vicende del centro-sinistra padovano. Con attenzione silente: ho lasciato la loquacità alle prime fasi, e nel backstage – dove, finché ho potuto e ho pensato che avesse un senso, ho cercato di dare un contributo di riflessione alle scelte da fare. Poi, quando le scelte sono state fatte, mi sono astenuto dall’intervenire o dal prendere altre posizioni, o anche solo manifestare vaghe perplessità. Bisognava in ogni caso portare a casa il risultato: discutere ancora avrebbe danneggiato l’obiettivo.
Ora, a risultato acquisito, posso permettermi qualche valutazione più ravvicinata.
Al primo turno è andata più o meno così. Nel centro-sinistra, il risultato migliore è stato quello di Giordani, che ha vinto ‘civicamente’: nel senso che le liste civiche in suo appoggio (15,22% in totale: cui vanno aggiunti i voti del PD e l’1,50% dei socialisti) hanno pesato più del PD, anche se quelle provenienti da centro-destra (i delusi di Bitonci) si sono portate dietro molti meno voti di quelli presi nel 2014 – a testimonianza che i voti di destra, di solito, a destra tendono a restare. Altro risultato molto significativo è stato quello di Lorenzoni che, inizialmente snobbato dal PD, ha portato a casa, con le sue liste, il 21,91% dei voti, con Coalizione Civica diventata il terzo partito in città (e il secondo ‘vero’, con l’11,45% dei voti, dopo il PD, che ne ha il 13,49%, dato che la lista Bitonci, primo partito con il 24,11%, è solo un aggregato elettorale). Quarta e quinta lista premiata sono rispettivamente quella di Lorenzoni sindaco, 10,46%,  e quella di Giordani sindaco, 9,33%. Segue, a distanza, la Lega. Una descrizione che rende l’idea del peso in queste elezioni del ‘civismo elettorale’. In cui includo solo culturalmente Coalizione Civica: che, organizzativamente, è invece più simile alla forma partito, in quanto struttura permanente, non creata a mero scopo elettorale. Il PD, dal canto suo, ha lasciato sul campo la metà dei suoi voti rispetto al 2014, e probabilmente più della metà della sua motivazione, del suo morale, della sua reputazione anche solo tra gli iscritti. Una parte dei simpatizzanti e dei militanti ha traslocato verso Coalizione Civica; una parte molto maggiore l’ha invidiata in silenzio (visto che faceva il lavoro che avrebbe potuto e dovuto fare il PD); una parte si è limitata a manifestare un blando dissenso, preferendo nell’urna altre liste; e una parte si è piegata solo per disciplina di partito ed obtorto collo alle decisioni prese (la prova? La ripresa di entusiasmo e motivazione, nei circoli del PD, dopo il primo turno, in vista del ballottaggio, lavorando fianco a fianco con Coalizione Civica e le liste apparentate a Lorenzoni). La reputazione attuale del PD – o almeno della sua dirigenza – è rappresentata simbolicamente dal fatto che il segretario cittadino del partito ha preso meno preferenze del coordinatore di Coalizione Civica.
Al ballottaggio è andata così: bene. Grazie all’intelligenza, alla generosità e al buonsenso sia di Giordani che di Lorenzoni, Bitonci è stato sconfitto, e un ciclo divisivo e offensivo per la città si chiude. Per cui, a tutti i protagonisti di questa vicenda, inclusi i dirigenti del PD, va un grazie profondo e sentito. Con una domanda, tuttavia: perché Bitonci, a differenza che nel 2014, al primo turno era in testa alla grande, e al ballottaggio ha portato al voto oltre 5.000 elettori in più; ‘Giorenzoni’ ne portano al ballottaggio 3.000 meno di quelli del primo turno, perdendo probabilmente un po’ sia a destra che a sinistra, e non beneficiando di alcun apporto, o molto scarso, dal M5S (il cui bacino elettorale peraltro Coalizione Civica aveva provveduto a intaccare in anticipo).
Dentro questo risultato positivo, il PD, come detto, ottiene il suo peggior risultato di sempre, riducendo della metà i suoi voti rispetto al 2014. Ha vinto insomma la strategia scelta e il candidato proposto, apprezzati dall’elettorato, ma non la linea e la guida politica e partitica che ci sta dietro, pesantemente rifiutate: ciò che dovrebbe far trarre qualche conseguenza da chi il PD lo guida. Diciamo che la strategia elettorale del PD (per come è stata portata avanti, non per il chi e il cosa) ha vinto a prezzo della sconfitta (qualcuno dice della distruzione, o della riduzione ai minimi termini) del PD come partito, che è meno grave, e come comunità politica, che è più grave. Può darsi che fosse inevitabile. E’ la narrazione attuale dei registi e di chi ha investito e creduto in questa operazione, e di chi si limita a raccontare la vittoria. E sicuramente c’è del vero, ed è una lettura legittima. Può darsi invece che ci fossero altre strade: di metodo in primo luogo. La controprova non l’avremo mai: né nell’uno né nell’altro senso. Nessuno può dire che facendo altrimenti si sarebbe perso. Nessuno può garantire che facendo altrimenti si sarebbe vinto ugualmente, senza far perdere consenso al partito. Altrove, dove la sconfitta del partito ha significato l’uscita dalla corsa per il ballottaggio, si sono fatte considerazioni pubbliche e sono fioccate dimissioni già dopo il primo turno: qui, giustamente, si è aspettato il ballottaggio, che porta in dote una vittoria. Adesso però è ora di una analisi seria e di una discussione onesta, sulla sconfitta devastante che questa vittoria esaltante contiene.
Il vantaggio di questa situazione – l’aver vinto, ma non come partito – è che ora si può (e si deve) aprire una discussione interna nel PD senza timore di danneggiare l’amministrazione: sono due cose e due percorsi diversi. Anzi, il momento logico è proprio ora, per poi poter dare il contributo migliore, di idee e di persone, all’amministrazione stessa. E per poter svolgere un ruolo significativo in futuro.
L’amministrazione la sua strada ce l’ha, ed è aperta, persino spianata: speriamo anche totalmente indipendente dalle scelte dei partiti – sia dei transfughi dalla precedente maggioranza, dal basso del loro modesto risultato, sia di altri. Che le scelte sulla Giunta le facciano Giordani e Lorenzoni: senza compromessi, senza adempiere eventuali accordi pre-elettorali, smentiti dal risultato delle urne. La mancanza di una vera opposizione, priva di capacità, di personalità e di leader, dopo che Bitonci, prima o poi, avrà abbandonato il campo, renderà più facile il lavoro. E le dichiarazioni di Giordani, che fin dall’inizio ha detto che non avrebbe fatto un secondo mandato, aprono la strada a una tranquilla transizione, alle prossime elezioni, in direzione di Lorenzoni: ciò che, incidentalmente, a meno di cambiamenti radicali, renderà ancora più irrilevante, de facto, il ruolo futuro del PD. Quale momento migliore per una discussione sui fondamentali? Non si corrono rischi, e può produrre solo del bene: il male sarebbe sfuggirla, la discussione, visto che la tendenza attuale è tutta in discesa – di iscritti, di percentuali, di motivazione, di reputazione, di voti.
Per cui, tanto vale esplicitarle, le domande che molti vorrebbero fare.
A quando la convocazione degli iscritti per l’analisi dei risultati? Domani? Dopodomani? Perché dopo, si sa, c’è la pausa estiva…
A quando la discussione su come è percepito il PD sul territorio, comunale e provinciale (e, certo, anche regionale e nazionale)?
A quando una riflessione su cosa è stato fatto bene – e c’è – e su cosa è stato fatto male – e c’è?
I circoli, esistono? Sono in grado di battere un colpo? Di iniziare e di pretendere una riflessione aperta?
Non si tratta di volere rese dei conti: non è questo il tema, né l’approccio corretto. Nemmeno la materia del contendere: si è vinto e si perso allo stesso tempo, ci sono alti e bassi che meritano di essere valutati. Si tratta però di parlare, di comunicare, di discutere, di prendere decisioni insieme, insomma di ritornare ad essere, o almeno provarci, comunità. Di non fare finta di niente, soprattutto: che è la cosa peggiore, quella dagli effetti più nefasti, alla lunga. Come nelle amicizie. Come nei matrimoni…
L’alternativa è il rinvio della discussione (che significa – come già nel 2014 – la sua cancellazione), ovvero la fuga dalle responsabilità. Che sarebbe il colpo di grazia a un corpo politico già profondamente debilitato.