Dopo Christchurch: Le parti invertite del terrore

Christchurch: che tristezza, un nome così, per una strage di musulmani in moschea… Ma è un’ironia che non dispiacerebbe al suo autore, e forse perfino inconsapevolmente cercata. Lui, che nel suo improbabile pantheon ha messo di tutto: perfino il doge veneziano Sebastiano Venier, o il condottiero Marcantonio Bragadin, di cui probabilmente tutto ignora, salvo forse il fatto che è stato martirizzato dai Turchi. Questi rimandi alla storia lontana, come alla contemporaneità, a terroristi anti-islamici come Anders Breivik e delinquenti xenofobi come Luca Traini, o a vittime innocenti del terrorismo islamico in Europa, poco ci spiegano, tuttavia, di quanto accaduto, e ancora meno sono in grado di spiegare le ragioni – per quanto di ragioni si possa parlare – di una voglia di rivincita identitaria contro innocenti e pacifiche famiglie musulmane che stavano pregando, portata fino alla strage.
Delle motivazioni di questo atto terroristico (così è giusto chiamarlo, se nello stesso modo abbiamo chiamato le azioni di lupi solitari islamici in Europa) si ragionerà – si spera – a lungo, se vogliamo capire una delle malattie che crescono in seno alle nostre società. Qui vorremmo ragionare sulle reazioni, o la mancanza di reazioni, che questo atto odioso ha provocato, o non è riuscito a provocare, da noi. Cominciamo dalla prima: la percezione selettiva. Anche in questo caso, tocca dirlo: tutti quelli che avrebbero manifestato a gran voce la loro indignazione se la strage fosse stata a parti invertite, perpetrata cioè da musulmani, sono stati zitti e coperti in questa occasione. O si sono permessi dichiarazioni come questa, non accompagnata da una sola parola di cordoglio: “L’unico terrorismo che merita di essere attenzionato è quello islamico”. Purtroppo proveniente non dal pulpito di un suprematista bianco, ma dal Ministro dell’Interno, che è ministro anche dei musulmani cittadini italiani. Come se i musulmani non meritassero neanche la dignità di vittime. Eppure, proviamo a leggere anche questa dichiarazione a parti invertite: immaginandola nel giorno di una strage islamica commessa a danno di cristiani in una chiesa, pronunciata da un ministro musulmano e riferita agli islamofobi – che effetto ci avrebbe fatto?
Ecco, su questa questione delle parti invertite occorre continuare a ragionare. Non si tratta di mettere sullo stesso piano terrorismi diversi, o considerarli equivalenti anche in termini quantitativi: non lo sono. Ma almeno riconoscere che sono terrorismi, e che meritano una risposta, questo sì. Quando ci sono state stragi simili da parte di militanti islamici in Europa, abbiamo chiesto che i musulmani alzassero alta la loro voce contro – dov’è la nostra, oggi? Quando un prete è stato sgozzato nella sua chiesa, in Francia, molti musulmani sono venuti a pregare nelle nostre chiese i nostri morti: quanti di noi andranno nelle loro moschee a fare altrettanto? E per finire, vorremmo vederli oggi in azione, i giornalisti abituati a farlo nei confronti dei musulmani, mettere in bocca un microfono a sovranisti e xenofobi nostrani, imponendo loro di dissociarsi da questa strage, e strumentalizzare le loro parole – magari incerte e zoppicanti, frutto di stupore anche solo di essere intervistati – fino a farne la prova evidente di una mancanza di partecipazione e solidarietà. Potrà spiacere: ma è proprio questo che abbiamo fatto regolarmente ai musulmani in Europa in questi anni. Oggi (come Breivik a Oslo, ma come centinaia ormai di casi minori di ordinaria discriminazione, ovunque in Europa) qualcuno ha compiuto una strage in nome di valori occidentali, della supremazia bianca, del timore di una “grande sostituzione” in Europa: qualcuno ne ha chiesto conto agli occidentali, ai bianchi, agli europei? No: perché lo si considera insensato. Ma se lo è (e probabilmente lo è), allora è vero anche quando riguarda i musulmani. E dovremmo rifletterci. In realtà tutti, musulmani ed europei (e ancora di più chi è entrambe le cose), abbiamo materia di riflessione da trarre, da questi fatti orribili. Sulle pulsioni profonde che coviamo nel profondo delle nostre comunità, sulla logica di contrapposizione cui rinviano. E sul fatto che dovremmo parlarne insieme, come di problema comune: non solo l’uno a proposito dell’altro.
Dopo Christchurch: Le parti invertite del terrore, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 19 marzo 2019, editoriale, p. 1