Si possono selezionare gli immigrati? La linea di Trump

Può uno stato scegliersi i suoi immigrati? E’ il quesito che sottende la scelta di Trump di cambiare le leggi sull’immigrazione. Significa che il presidente vuole regolamentare diversamente, ma mantenere, una politica di immigrazione: in continuità con la storia americana, e un passo avanti rispetto all’enfasi solo sul muro con il Messico e il muslim ban. Una consapevolezza che hanno gli USA, ma non l’Europa (salvo la Germania), e che fa sì che da noi si continui a negare una verità evidente: che di immigrati avremo bisogno. Da qui al 2050 l’Europa, solo per mantenere stabile la sua popolazione, avrebbe bisogno di un’iniezione di 50 milioni di immigrati, e di 80 milioni di lavoratori se vuole mantenere stabile la sua forza lavoro. E l’Italia (il paese più vecchio d’Europa) conta circa il dieci per cento di questo fabbisogno.
E’ possibile scegliere gli immigrati che servono? In certa misura, sì: e non solo si può, ma si deve. Altrimenti lo fa il mercato (ovvero i trafficanti). In Italia, per esempio, da quando l’immigrazione è diventata irregolare (perché vietiamo ogni migrazione regolare), il livello di istruzione degli immigrati è sceso, sono aumentati gli analfabeti e i minori stranieri non accompagnati: rendendo l’integrazione più lunga e difficile e il suo costo più alto.
Quindi una selezione ha un senso. Trump dice: meno ricongiungimenti familiari, e più persone con competenze e alti livelli di istruzione (peraltro, non una novità assoluta per gli Stati Uniti). Con ciò va a coprire delle mansioni richieste nel mercato del lavoro, usando gli immigrati come volano di sviluppo per il paese. Ma ciò ha delle conseguenze controdeduttive. La prima: il mercato del lavoro (americano come europeo) ha bisogno anche, probabilmente soprattutto, di lavoratori non qualificati, manuali e dei servizi; se questi non vengono fatti entrare regolarmente, continueranno a entrare irregolarmente. La seconda è più sottile e meno controllabile: più gli immigrati entrano ai livelli alti del mercato del lavoro, più guadagnano, e più questo rischia di produrre in alcuni ambiti invidia sociale e odio per lo straniero, che acquisisce posizioni migliori. Occorre inoltre tenere un equilibrio di genere che, se non rispettato, produrrebbe disequilibri di altro tipo nella società.
Infine, occorre mantenere uno spazio aperto per i richiedenti asilo, senza distinzioni e senza condizioni. Da chi scappa da una guerra o una catastrofe naturale non possiamo pretendere altri requisiti: le vittime sono sempre di entrambi i generi, di tutte le età e i livelli di istruzione.
In ogni caso, una politica che non sia mera chiusura, ma intervento attivo, si può fare e si deve discutere. Se un paese non ha gli immigrati che si sceglie, avrà gli immigrati che si merita, lasciando non regolamentato un mercato (e un ingresso) che invece deve essere gestito e controllato. Nel caso dell’Italia, purtroppo, si tratta di una pessima prospettiva.
Meno ricongiungimenti familiari e più competenze, l’America si sceglie i suoi immigrati,  in “La Stampa”, 17 maggio 2019, p. 25