Se gli schei entrano in Borsa. Trasformazioni del sistema produttivo in Veneto.

Capitale. Cioè soldi? Non solo. Capitale, dal latino caput, significa che riguarda, appunto, il capo: che è importante, dunque, essenziale. Così tanto che è questione di vita e di morte. Come nella pena capitale. E che assurge al ruolo principale: come la capitale di uno stato. I derivati della parola, tra cui capitalismo, hanno la stessa origine. Il capitalista, che possiede capitali, ha dunque un ruolo cruciale. E tutti noi, che cerchiamo di capitalizzare i nostri vantaggi acquisiti, o le nostre qualità, di fatto vorremmo fare altrettanto, legittimamente. Avere un ruolo. Essere importanti. Se possibile, essere tra i capi: tra coloro che muovono le cose nel mondo, che hanno potere su di esso.
Al capitale, cruciale per il funzionamento del capitalismo, sono state dedicate opere monumentali: anche in chiave critica, da Marx a Piketty. Perché la sua funzione è effettivamente centrale, fondativa. Senza di esso l’impresa non funziona. Ne ha bisogno come dell’ossigeno. E’ la più preziosa delle merci, se vogliamo, e dei fattori di produzione: perché li rappresenta tutti.
Ora, il capitale non è solo denaro, schei. E soprattutto non è solo possesso proprio. Il capitale è fluido: circolante, per definizione. Ma assume anche varie forme. I depositi in banca, certo; le proprietà (quando va bene anche le idee e le capacità innovative) trasformabili in capitale corrente, attraverso fidi, prestiti, garanzie e fideiussioni. Un ruolo che avevano le banche, e che in teoria dovrebbero avere ancora. Ma che – soprattutto negli ultimi anni, soprattutto nel Nordest, in particolare con i crac delle banche venete – hanno mostrato di non saper svolgere appieno, e spesso di svolgere malissimo.
Ci sono però anche altri luoghi, e altri soggetti, che possono fornire capitali. I fondi di investimento, magari il venture capital. E naturalmente la Borsa: parola che deriva dal significato di sacca, di contenitore; ma che più probabilmente, nel suo significato di Borsa valori, deriva dal nome di una famiglia nobile di Bruges, i Van der Beursen, che aveva nel suo stemma tre borse, da cui presero il nome il palazzo e poi la piazza in cui localmente si riunivano i mercanti, che poi chiamarono borse le altre piazze con funzioni analoghe in altre città, e dove si svolgevano fiere, scambi.
La quotazione di borsa è un tipico mezzo contemporaneo per acquisire capitali. La sua caratteristica più interessante, sociologicamente (e localmente, per il Veneto) è che presuppone l’uscita dal provincialismo, delle relazioni personali tra simili, dal dialetto e dalle strette di mano, e anche dalla logica del “faso tuto mi”, per aprirsi alla navigazione nel grande mondo del capitalismo globale. Di fatto per le piccole e medie imprese, che rappresentano gran parte del tessuto produttivo del Nordest, è certamente una grande opportunità, ma anche un atto di coraggio culturale, e di innovazione psicologica: in fondo l’apertura a capitali che vengono da fuori (letteralmente da non si sa dove, e detenuti da sconosciuti) presuppone una parziale e utilissima cessione di sovranità, che fa felicemente a pugni con il sovranismo (psicologico, e culturale, prima ancora che politico) di tanta mentalità locale. Non solo: la quotazione in borsa presuppone meccanismi di trasparenza e di controllo esterno (perché bisogna rendere conto al mercato di ciò che si fa) che, anch’essi, sono spesso culturalmente ostici. E’ dunque significativo che cominci a diffondersi maggiormente, anche tra imprese di scala minore, non solo tra i colossi globali, per cui è già la norma: una tendenza preziosa, originale rispetto al contesto, foriera di ulteriore innovazione.
Il passo successivo è comprendere che “capitale” ha anche altri significati, non meno importanti: tra cui quello di capitale culturale. Il possesso di conoscenze, competenze e titoli di studio. Sulla cui valorizzazione il Veneto – e l’impresa veneta – è ancora indietro. Ma questa è un’altra storia.
Aprire il capitale significa uscire dal provincialismo, in “Corriere della sera – Corriere Imprese Nordest”, 9 dicembre 2019, rubrica “Le parole del Nordest”, p.3